Thailandia
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Quello che ho scoperto sulle Donne Giraffa in Thailandia

Donne Giraffa a Chiang Rai

Donne Giraffa a Chiang Rai

Mi avevano consigliato di non visitare il villaggio delle Tribù Karen a Chiang Rai al confine con la Birmania, ma io cocciutamente l’ho fatto.
Volevo vedere con i miei occhi tutto quello di cui ho sentito raccontare prima della mia partenza, volevo farmi un’opinione al di là di quello che si legge in giro.

Mi avevano detto di non farlo per non alimentare un insano turismo che si è sviluppato nel tempo e che rende schiave queste donne, quasi fossero esposte come in uno zoo.

Ma facciamo un passo indietro per spiegare un pezzetto della loro storia:
Le cosiddette donne giraffa fanno parte dell’etnia Padaung, sono scappate dal regime birmano in cerca di asilo politico e rifugiatesi in Thailandia. Il l nomignolo dato alla loro tribù, deriva dall’usanza di appendere al collo degli anelli in ottone che indossano da quando sono bambine, aggiungendo un anello ogni anno fino ad un massimo di 10 kg.

La credenza comune secondo la quale il loro collo sarebbe allungato a tal punto da non restare in equilibrio senza anelli è sbagliata: in realtà si tratta solo di un’illusione, la verità è che data la postura e il peso degli anelli, la clavicola viene schiacciata a tal punto da sembrare un tutt’uno col collo. Da qui, la parvenza di un collo estremamente lungo.

Le donne della Tribù Karen in Thailandia

Le donne della Tribù Karen in Thailandia

Ma veniamo al motivo per il quale boicottare l’escursione al villaggio Karen sarebbe preferibile. Pare che il governo thailandese sia accusato dall’ONU di utilizzare la tradizione degli anelli al collo come attrazione turistica e che ci speculi sopra.
Pare anche, almeno così ho letto in giro, che l’unico modo per queste donne di uscire dalla Thailandia per rifarsi la vita, sia togliersi gli anelli e uscire dallo “zoo”.
A queste donne non sarebbe permesso rifarsi una vita, trovarsi un lavoro, perché essendo parte di una delle attrazioni più redditizie della zona, non sarebbe conveniente.

Spetterebbe quindi al turista boicottare la visita al villaggio, rinunciando a regalare al governo thailandese 250 baht a testa (circa 6 euro).

Per quanto mi riguarda, mi sono ritrovata nel bel mezzo della giungla assieme ad un gruppo di turisti, invasa dalle mie mille elucubrazioni mentali.

Vado o non vado?
Dato che la mia escursione faceva parte di un pacchetto molto più ampio, il pagamento del biglietto d’entrata era già compreso nel prezzo e quindi il mio sporco contributo l’avevo, ahimè, già dato.

Ho deciso di entrare a dare un’occhiata così da dare una qualsiasi forma a tante supposizioni che affollavano i miei pensieri.
Se non altro adesso posso dirvi come stanno le cose una volta entrati lì dentro.

Innanzitutto se vi aspettate un villaggio vero e proprio, scordatevelo. Non vedrete niente di niente se non una manciata di bancarelle polverose.
Seguirete un lungo viale quasi come foste in un mercato, solo che posizionato in mezzo alla giungla. Alcune donne tessono a dimostrazione del fatto che la merce che gentilmente vorrete acquistare è fatta con le loro mani.
Alcune sono infastidite, altre sono pronte a vendersi per una foto, si mettono in posa in cambio di un’occhiata alla loro bancarella. Anche le più piccoline sono istruite come delle piccole venditrici. Sono truccate e il loro rossetto fa fatica a seguire i contorni delle giovani labbra a forma di cuore. Avranno si e no cinque anni.

Una piccola donna Karen

Una piccola donna Karen

Tanti cuccioli di cane meticcio vagano per le strade polverose e i bambini maschi giocano nudi rincorrendo le galline.

Di capanne non se ne vedono, forse una o due, solo accennate. Provo pudore nel fare foto, mi sembra di rubare qualcosa. Qualcosa che probabilmente è stato messo lì apposta per essere rubato. I loro sguardi rimangono impressi nei miei scatti e sembrano parlare. Mi dicono “noi siamo l’illusione di ciò che vorresti fossimo”.

La cosa più triste e che anche le bimbe più piccole restano immobili con un sorriso forzato stampato in volto; probabilmente sanno che non devono muoversi per non rovinare lo scatto che potrebbe assicurare loro un acquisto alla bancarella.

L'effetto collo giraffa

L’effetto collo giraffa

Esco dal villaggio e non posso fare a meno di pensare che quello della tribù Karen è solo uno dei mille esempi che si possono fare sulle varie tipologie di sfruttamento a favore del turismo di massa.

La difficoltà sta proprio nel cercare il più possibile di essere turisti informati, documentarsi autonomamente e farsi idee da portare avanti in difesa delle minoranze, degli animali e di qualsiasi altro essere vivente ne necessiti.
La mia sfida d’ora in poi sarà proprio questa.
Vi riporto un po’ di link utili che ho trovato in giro per la rete per informarvi meglio sulla situazione delle donne Padaung:

Corriere.it: Donne Giraffa, l’assedio dei turisti

Viaggiare Low Cost: Le donne giraffa di Chiang Rai. Perché ho boicottato



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Scritto da Stefania Pozzi

Da grande vorrei viaggiare e scrivere di viaggi, nel frattempo provo a viaggiare e a scrivere di viaggi. Social Media Specialist, Travel Blogger e Founder di diquaedila.it

Ci sono 21 commenti

  • […] aver raccontato la storia delle Donne Giraffa, ero indecisa sul fare o meno visita alle popolazioni Himba, soprattutto perché so quanto il […]

  • Gi scrive:

    Cara Stefania, quando sono entrata nel villaggio mi veniva da piangere. Mi sembravano donne esposte come allo zoo. I miei compagni di viaggio (conosciuti in loco) si sono lanciati a fotografarsi con loro. Una delle donne non mi sembrava contenta per nulla. Ľho fotografata anche io, poi mi sono sentita male, sentivo di mancare di rispetto e ľho subito cancellata.
    Ho comprato le sciarpe fatte da loro, ho chiesto quali fossero. Sperando che quei soldi vadano a loro. Ho chiesto alla guida, afferma che va tutto a loro. Ma non ci ho creduto affatto.
    La stessa compassione ľho provata per gli elefanti. Credo siano un mezzo di trasporto comune, ma non so quanto possano soffrire con tre persone sopra.

    • Stefania Pozzi scrive:

      Ciao Gi, capisco quello che scrivi. Sono emozioni contrastanti, uniti a curiosità e senso di colpa. Anche a questo serve viaggiare, per aprire la mente, informarsi e avere più di un parere letto su qualche sito o blog.
      La tua esperienza vale.
      Io ti posso dire che questo viaggio mi è servito per fare determinate scelte: no ai tour sugli elefanti, no allo sfruttamento umano e animale per il turismo. ora la sfida sta nel riconoscere fino a dove è possibile spingersi per non sbagliare.

  • ANDREA scrive:

    beh… io ci sono stato 2 settimane fa… ho letto attentamete il tuo articolo prima, ma non ho riscontrato così tanti disagi da parte di queste donne anzi, alla domanda di voler tornare in Birmania hanno subito negato la volanta perchè li dove erano potevano guadagnare bene, poi per quello che ho capito tramite la guida “certo thailandese” cmq ha detto che lo stato thailandese non prende nessun soldo da loro, e che tra l’altro avendo uno status particolare cmq hanno diritto senza pagare alla sanità. Io non trovo violazioni hai diritti umanitari anzi!!!! forse è meglio tenerle come noi in italia senza un impiego e quindi aumentare la crimanilità???

    • Stefania Pozzi scrive:

      Ciao Andrea, se hai letto attentamente l’articolo e anche i commenti sotto avrai sicuramente notato che ognuno è libero di pensarla come crede anche perché la situazione e tutt’altro che limpida. Questo articolo non è né un’accusa, né ha la volontà di sminuire usanze culturali. Che lo stato non prenda soldi, ecco questa è esattamente un’affermazione da “guida thailandese”, se avrai occasione di approfondire tramite articoli e altri documenti inerenti ti accorgerai che la situazione non è così come la si descrive. La violazione dei diritti umanitari viene perpetrata nel momento in cui si usano una serie di “agevolazioni” per tenere legate delle persone che con le loro usanze fanno spettacolo e portano turismo. Sia a favore di queste persone che a discapito… prova a rispondere per un attimo alla domanda ” e se una di loro se ne volesse andare, a cosa andrebbe incontro”? Non diamo per scontato che la situazione migliore sia la più corretta! Per quanto riguarda la tua ultima frase sull’Italia credo non sia consona all’argomento che tratto: penso solo che un guaio peggiore non offuschi per forza di cose uno “minore”.
      Grazie comunque del tuo parere!

      Stefania

    • Luca scrive:

      Scusa andrea… Ma la guida thailandese cosa ti doveva dire? Si lo stato ci guadagna! Sconsiglia agli amici di passar di qua’ e fammi perdere il posto di lavoro…
      No seriamente , la mamma ci ha fatto la testa per usarla!
      Io al momento mi trovo in birmania ed ho sentito voci di piccoli villaggi non turistici al nord ed al centro dove questa cultura persiste ma non come business ma come vera e propria usanza! Al tal punto che non ho riscontri su internet dell’esistenza dei villaggi…

  • Claudio scrive:

    Non sono mai andato e mai ci andrò. Io per motivi sanitari (operazione di scoliosi) ho portato un gesso fino sotto al mento per tenermi in tiro per un anno. Sicuramente meno dannoso degli anelli delle Padaung.
    Ho i denti tutti storti per questo motivo. Non oso pensare all’artrosi e ai problemi osteomuscolari che si sviluppano a queste donne nel corso della loro vita.

    La motivazione tradizionale che si da , è che le donne giraffa con questi anelli sarebbero protette dalle tigri che non potrebbero azzannarle al collo e alle gambe. E’ ovviamente una fandonia, è uno dei tanti metodi che ha ideato l’uomo per sottomettere le donne, niente di meno del burqa, della deformazione dei piedi delle donne cinesi , della infibulazione dell’africa orientale. O forse una sorta di marchiatura come si fa col bestiame.

    Una domanda : ma perché l’infibulazione genera giustamente sdegno ed orrore, e la si vieta ormai un po’ in tutto il mondo, e una pratica altrettanto dannosa se non di più, la si considera una tradizione culturale?
    No, è ora che i governi facciano un passo in più, questa cosa va proibita per le nuove generazioni.

    • Stefania Pozzi scrive:

      Buongiorno Claudio, purtroppo non so risponderti alla domanda che poni. Però ti ringrazio per l’utile contributo e spero che qualcuno di più competente in materia possa leggere!
      A presto, Stefania

  • Elisa scrive:

    Non mi ero mai informata su questa cosa e questa notizia mi lascia di stucco… Non ho parole.
    Bisognerebbe sempre essere informati quando si visitano i paesi stranieri perché a volte si pensa proprio solo al puro turismo, senza pensare alle conseguenze.

  • Cabiria scrive:

    Me li sto leggendo tutti, confesso, ne ho un po’ da recuperare! 😉
    Anche in questo caso bellissimo pezzo, condivido molte delle tue difficoltà: l’avere un blog (perchè se ci metti un minimo di senso pesi ogni parola che scrivi), il fare le foto (anche a me sembra sempre di rubare qualcosa e spesso decido di non scattare), l’affrontare certi luoghi (che è il motivo per cui non sono ancora andata in Birmania).
    Ok, vado a leggere gli altri adesso!

    • Stefania Pozzi scrive:

      Vero Caby, non è sempre facile ma ho scelto di parlare di tutte le mie esperienze, non solo quelle più semplici e “giuste”. Sicuramente chi ha un blog è più esposto a giudizi ma io credo che se si vuol fare un buon lavoro con un blog bisogna mantenere quel tocco personale. Grazie ai miei viaggi sto crescendo, molte cose che ho fatto ieri oggi le farei diversamente… resta comunque il fatto che le ho vissute e le mie testimonianze possono essere utili a qualcuno. Grazie per essere passata :*

    • franco scrive:

      Penso che scattare foto sia utile o dannoso in funzione dello scopo per il quale le si fa. Se si riescono ad immortalare momenti e situazioni significative possono essere un grande strumento di divulgazione.

  • manuela scrive:

    Ciao Stefy!
    Un altro grande bel post sulla nostra cara Thailandia. Io non sono arrivata fin lì, ma ammetto che le donne giraffa da sempre incuriosiscono anche me.
    Non è affatto semplice essere turisti informati, fare del turismo sostenibile e contribuire al rispetto della cultura di un popolo.
    Talvolta prevale la curiosità. Io per prima faccio fatica ma sto cercando di compiere dei progressi.
    Grazie per questo articolo. Penso che grazie a te in molti ci penseranno due volte prima di far visita alle donne giraffa.
    A me è passato qualunque desiderio :)

    • Stefania Pozzi scrive:

      Ciao Manu, grazie delle belle parole! Come dici tu, non è affatto facile prendere le giuste decisioni in viaggio, soprattutto quando cultura e usanze sono diverse dalle nostre. Avere un blog è bellissimo ma è anche una responsabilità: non sempre i propri pareri sono obiettivi. Il rischio è quello di influenzare gente a fare o non fare cose… Magari ingiustamente! Ma la cosa bella sono soprattutto i commenti di gente che porta testimonianze diverse :)

  • Sphimm scrive:

    Quanti ricordi leggendo il tuo post, durante il mio viaggio in Thailandia ho vissuto nella foresta e dormito nelle tribù più remote dove le donne non sono un oggetto da fotografare.
    Ho anche visitato un villaggio Karen e le senzazioni che descrivi ben rispecchiano la mia esperienza, ma la vita della foresta mi ha anche insegnato che non sempre è negativo ciò che sembra. Molte ragazze patiscono l’isolamento nella tribù e ai loro occhi quella delle donne Padaung è una condizione quasi di favore, molti vedono in loro l’eco delle loro tradizioni e, per quanto io stesso restassi incredulo, nella loro concezione tribale portare gli anelli è un vanto.
    Non mi ritengo in grado di dire se sia giusto o no, di certo la cosa sbagliata è mercificare questa usanza, ma questa mia idea è generale e valevole per migliaia di altre situazioni.

  • …e che alla fine ci caschiamo tutti, chi per un motivo e chi per l’altro. Hai fatto una valutazione corretta dicendo che comunque il tuo contributo lo avevi già pagato…

    posso lasciare un contributo che farà aumentare i dubbi?

    metto un sassolino sull’altro piatto della bilancia (nonostante sia fra quelli che se me lo chiedono invito a non andare): un giorno, una mia studentessa, durante un esercizio di conversazione disse che non era tailandese ma Kayan e che veniva da un piccolo villaggio del nord della Thailandia. Alla lezione sulla famiglia mi parlò solo della sua mamma e del fatto che aveva sacrificato la sua vita (indossando appunto i pesanti anelli) per garantire un futuro migliore alla figlia…i soldi guadagnati con le foto dei turisti li aveva messi da parte per mandare a Bangkok a studiare la mia studentessa…

    • Stefania Pozzi scrive:

      Grazie per il prezioso contributo Andrea! Quello che conta è proprio il parere di queste vite vissute… fondamentalmente potrei farti mille esempi di come l’uomo venga sfruttato per il turismo… io non me la sento di giudicare, però ci tengo a farmi un’idea che mi porti sempre a scegliere la cosa più giusta per il paese e per il popolo che visito!

  • Ciao Stefania,
    veramente complimenti. Io sono una grande sostenitrice di questi articoli, perché penso che scrivere sia anche e soprattutto informare e condividere le esperienze per sensibilizzare le persone.
    Spero scriverai altro,
    Complimenti!

    • Stefania Pozzi scrive:

      Grazie Lucia, io ci provo! Purtroppo non sempre si riesce a fare del proprio meglio: brevi viaggi non permettono di conoscere a fondo le verità delle culture e dei popoli. Ma siamo qui anche per questo, per migliorare :)

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